lunedì 14 settembre 2009

...VOCI E RIME DAL PASSATO

Era già l'ora che volge il disio
ai navicanti e 'ntenerisce il core

(Dante Alighieri - Purgatorio, Canto VIII°)


IDEALE


Una dolcezza ho qui, chiusa nel cuore...
una dolcezza che è piacere e pena
io non so se chiamar si deve "amore"
ma so, però, che l'anima ne ho piena !

Piccola mia, sei tu la mia speranza,
il mio sogno, la speme, l' "ideale" !
Sei tu che dai alla vita la fragranza
e fai sentire al cuore il bene e il male.

Quando mi guardi con quegli occhi neri
(belli nel riso, splendidi nel pianto)
accendi nel mio sangue i desideri.

Amante e sposa mia tu sei l'amore
la luce, la mia eterna giovinezza,
la dolcezza che ho qui chiusa nel cuore:
t'amo, con infinita tenerezza !!!

G. TRAVAGLINI


QUANDO

Quando mi guardi seria e pensierosa...
con un riflesso di malinconia,
sembra che voglia dirmi qualche cosa...
e pur rimani muta, bimba mia !

Quando il sorriso sfiora il tuo bel viso
sento una gran letizia in fondo al cuore
perchè sei bella più del paradiso
e l'occhio tuo riflette lo splendore!

Quando il tuo sguardo mostra meraviglia,
per qualche cosa che di male ho fatto,
vedo un'ombra passar fra le tue ciglia
e il bel volto tuo sembra disfatto.

Quando dalle tue labbra suggo il miele
sento l'orgoglio, sento in me la gloria,
mi credo grande come San Michele
e tu sei la mia preda di vittoria !

Preda bella, magnifica, superba,
che sai darmi la gioria ed il dolore...
frutta matura e pure sempre acerba...
tu sei l'altare del mio grande amore !

10 marzo 1943 - G.TRAVAGLINI


LA SOCERA

Rispettata, sfottuta, o bersaijata
la personalità più dde cartello...
è 'sta sòcera, ovunque nominata
sia dar signore che dar poverello.

Certo che è 'n gran problema de la vita,
è 'na vera questione delicata...
e la questione nun sarà finita
nemmeno er giorno che l'avrai sloggiata !

Perchè, che stia lontano o stia vicino,
è sempre lei che giudica e dispone,
è sempre lei che te darà er contìno
implacabile, e senza remissione !

E nun giova trattalla co' li guanti
o faje comprimenti e cortesie...
Lei no, sta sempre sopra a tutti quanti
vo' domina' li generi e le fije !

Quanno lei parla, tutto attorno trema...
s'azzitta puro er canto de l'ucelli;
è un lungo interminabile... poema
(ma li discorsi, poi, so' sempre quelli !!!)

Lei è la donna infallibile, perfetta...
piena de strafottenze e de pretese
credete a me, che l'unica ricetta...
è de mannalla dritta a quel paese !!!

G. TRAVAGLINI


Queste poesie vengono dal passato…”NONNO”!
Quanto tempo che non pronunciavo più questa parola. I miei nonni sono tutti morti da tanto tempo.
…è da tanto che ho perso quella parte di me che mi collegava alla mia infanzia e alla mia adolescenza: poi ho ritrovato queste poesie d’amore che mio nonno (il padre di mia madre) ha dedicato a mia nonna e, all’improvviso, tutto mi è tornato addosso come l’onda di un mare in tempesta ed ho respirato a pieni polmoni quell’aria pura e fresca, carica di vitalità, che ha risvegliato in me mille ricordi.
Immagini affollano la mia mente …brevi spezzoni che, a qualsiasi epoca della mia vita appartengano, si presentano limpidi ed emozionanti.
Ricordo…
…mi rivedo bambina, poco meno di 5 anni, in quella “sua”vecchia casa di Via Acireale, quando, per uno strano rituale, io e mio nonno facevamo una specie di trenino, lui in testa, dalla camera da letto alla sala da pranzo, per portare una scatola piena di monete che faceva sobbalzare ad ogni passo producendo un allegro tintinnio; poi ci mettevamo al tavolo, aprivamo la scatola, io gli passavo i soldi e lui li contava, quadrando gli incassi della giornata lavorativa, e che il giorno seguente avrebbe dovuto consegnare al suo ufficio. Quelli erano i soldi delle riscossioni delle bollette della luce dei morosi, che nonno andava a fare di casa in casa (uno di quei mestieri spariti e dimenticati); a dire il vero ho sempre sentito raccontare che le persone dalle quali si presentava a riscuotere ed alle quali, in caso di mancato pagamento, avrebbe dovuto interrompere l’erogazione del servizio, erano persone fortunate: nonno era un buono, un “animo gentile”: davanti al dolore di famiglie realmente bisognose scriveva, nel rapporto, di non aver trovato nessuno in casa e si metteva d’accordo su quando sarebbe potuto ripassare.
…si sbiadisce l’immagine e ne prende vita un’altra, sempre in quella casa, quando, per le feste natalizie, ci riunivamo tutti. All’improvviso si sentiva bussare alla porta, qualcuno diceva “...presto bambini nascondetevi” ed io e mio cugino Maurizio finivamo sotto il tavolo da pranzo, di legno massiccio. Ci volevano far credere che stesse arrivando Babbo Natale, ma io ricordo solo la trepidazione ed il cuore che batteva all’impazzata, tanto da non capire che era tutta una farsa, montata da nonno per noi, e non c’era nessun Babbo Natale alla porta.
…e ancora: quando io e mio cugino, seduti su due sedie, una accanto all’altro, stavamo in tensione, per riconoscere il motivo che nonno avrebbe accennato con la voce, e correre a suonare una campanella per vedere chi per primo avrebbe indovinato il titolo del motivetto. A quei tempi c’era un gioco televisivo presentato da Mario Riva che funzionava in questo modo e che si chiamava “Musichiere”.
…ricordo quando con nonno facevamo gli spettacolini nel lungo corridoio della “mia” prima casa a Via Acireale, dove ho abitato fino all’età di 5 anni (ma di questo parlerò in un altro post): un piccolo pianoforte giocattolo, in fondo al corridoio, strimpellato all’impazzata mentre l’altro usciva da una stanza dalla parte opposta, improvvisando un balletto e poi ci scambiavamo i ruoli …e io mi divertivo tanto.
…e cosa dire di quei viaggi in treno o in macchina per andare in Umbria? Ogni casale un po’ particolare (se aveva una torretta era anche meglio), sperduto in mezzo alla campagna, era la casa di un personaggio delle favole: c’era la casa di Biancaneve, quella dei tre porcellini, quella di Cenerentola e del Gatto con gli stivali, poi c’era una casa con una piccola torre, che ancora oggi vedo ogni volta che faccio quel pezzo di autostrada: quella era la casa della Fata Turchina di Pinocchio. Ci sono cose,
tutte vere, che ho sentito raccontare su mio nonno talmente tante volte, e con tanta enfasi, da divenire quasi una leggenda. Leggenda è diventata la scelta del mio nome: io mi chiamo, infatti, Maria Claudia perché i miei padrini sono stati zia Maria e zio Claudio, ma ho sentito sempre raccontare che mio nonno, quando mia madre era incinta, tentò in tutti i modi di imporre la sua preferenza nel caso fosse nata una femmina. Aveva, infatto, letto un libro ed era rimasto colpito dalla protagonista, che si chiamava Nicoletta, ma, come spesso accade, per lei veniva usato un diminutivo: “Nicla”. Ecco perché mia figlia più piccola porta come secondo nome Nicoletta e da cosa deriva il nome “CREAZIONI NICLA” che ancora oggi utilizzo nei bigliettini che accompagnano le creazioni che faccio per hobby.
…e leggenda erano le stravaganti cene che nonna gli preparava a base di “confetti conditi”: naturalmente tutto falso, ma io ci credevo veramente, e tutte le sere mi meravigliavo di quello strano pasto.
Nonno era un uomo di pochi studi ma che era stato in grado di costruirsi una sua cultura personale leggendo molto. Era riuscito a scrivere un libro, “CRISI”, una storia di amore e politica fra un italiano e una spagnola, ambientata in Spagna durante la Seconda Guerra Mondiale, logicamente mai pubblicato, che io conservo trascritto su pagine di fogli di carta velina, i cui caratteri sono diventati di un violetto pallido, e che dovrei decidermi a trascrivere prima che sbiadiscano del tutto. Scriveva articoli per il giornale “Rugantino” ed una volta vinse anche un premio: un porta cipria d’oro (o placcato oro), che non so più che fine abbia fatto; e poi scriveva poesie di tutti i tipi, di satira, romanesche e d’amore.
Nonno era un carattere forte, uno che scriveva sul davanzale dove sapeva si sarebbe affacciata la suocera “MI SPEZZO MA NON MI PIEGO”. Nonno era un socialista che, pur di non piegarsi al regime dell’epoca, aveva rinunciato a prendere
la tessera del Partito Fascista, cosa che gli avrebbe permesso di dare da mangiare alla famiglia. Lui era quello (in questo caso un po’ incosciente, visto che a rischiare erano moglie e figli nel caso fosse stato scoperto) che nascondeva i partigiani e, peggio ancora, portava armi in casa, che nonna, una volta scoperte, smontava pazientemente e se ne liberava portandole poi fuori di casa nascoste nel cesto della spesa.
Bel caratterino no?! ...ma lui era anche quello che mi portava i ventagli di pasta sfoglia (che amo tuttora), i mazzi di primavera con tanti “tromboncini” gialli (così li chiamavo), che obbligava mia nonna a fumarsi una sigaretta (da quando lui non poteva più farlo), seduti nel loro minuscolo salottino, perché voleva sentirne l’odore e perché gli piaceva vedere mia nonna mentre fumava.
A volte, quando andavo a trovarli nella loro nuova casa, a Cinecittà, si metteva seduto in una poltrona del suo “angolo salotto” (composto da due piccole poltrone, in pelle verde scuro, con un tavolinetto nel mezzo), mi chiedeva di sedermi sull’altra (all’epoca ero già adolescente), apriva un libro di poesie e cominciava a leggerle, decantandone i versi con molta teatralità. Quello che preferiva era il libro dei sonetti di Trilussa… tutti bellissimi e molto sentiti nell’interpretazione, e dei quali uno mi è rimasto particolarmente impresso:


FAVOLA

Pe’ conto mio, la favola più corta
è quella che se chiama Gioventù:
perché c’era una vorta…
e adesso non c’è più !
E la più lunga ? E’ quella de la Vita:
la sento racconta’ da che sto ar monno,
e un giorno, forse, cascherò dar sonno
prima che sia finita!

(Trilussa)


Ricordo ancora con quanta enfasi pronunciava le ultime righe.
In sala da pranzo, sopra un mobile, ho messo su di un leggio un libro che ho preso a casa sua quando è morto: è l’antologia italiana di Giovanni Pascoli “FIOR DA FIORE”. E’ un libro tutto rovinato, spaginato ed ingiallito, che tengo aperto alla pagina di una poesia che nonno mi leggeva spesso, intitolata “PIERINO”: parlava di un nonno e di un nipote (rimasto orfano), che vivevano l’uno per l’altro
“…l’alba stringeva la mano al tramonto
...questa allegoria a lui piaceva tanto e penso la rapportasse a noi due, anche se io non ero orfana.
Quando chiudeva l’anno scolastico, a giugno, mi trasferivo per una settimana a casa dei miei nonni a Cinecittà. Dormivo in cucina, su una branda che aprivamo tutte le sere, e mi addormentavo guardando le lucette accese del quadro del Sacro Cuore appeso sopra la porta di cucina. Ricordo che in uno di questi periodi lessi un libro “Come era verde la mia valle”, mi piacque tanto, ed ora ogni volta che me lo ritrovo tra le mani o vedo la vecchia pellicola (che ovviamente ho trovato in versione dvd) rivedo davanti gli occhi le immagini di quella casa ed i volti dei nonni.
Ricordo quel suo vezzo di portare il cappello stile “borsalino” …di quando andavamo a fare le merende nei grottini, ai castelli …di quando mi completò un commento su Dante, che stavo facendo per la scuola, sul quaderno che lasciai aperto sul tavolo per andare in bagno …e le “Divagazioni di un nonno sfaccendato che le dedica a Claudia, piccola grande scrittrice del futuro”: uno scritto un po’ amaro, pieno di stanchezza e di rimpianti, che ancora conservo ...e, infine, ricordo quel suo respiro sempre affannato (aveva l’enfisema polmonare), che lo portò alla morte.
E ricordo il nostro ultimo incontro: era ricoverato all’ospedale di Castiglione del Lago, eravamo lì in vacanza e lui si era sentito male, in una stanza del padiglione nuovo con vista sul lago, dalla parte dove tramonta il sole. Quel pomeriggio, quando andai a trovarlo, il tramonto era bellissimo ed aveva dipinto il cielo e l’acqua di mille colori, che si sfumavano e mescolavano nel rosso arancio del sole calante. Mentre stavo uscendo dalla stanza, dopo averlo baciato, lui mi richiamò, io mi voltai e con voce fioca (aveva il cannello dell’ossigeno al naso) mi disse, guardando fuori della finestra: “Pupa... è l’ora che volge al desio…” ed io gli risposi pronta “…e ai naviganti intenerisce il core”, quella citazione della Divina Commedia ci piaceva molto). Mi voltai ed uscii da quella stanza felice di quell’intesa che c’era fra noi, non immaginando che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrei visto. Ripensandoci, a distanza di tempo, mi rasserena il fatto che l’ultimo saluto che ci siamo dati sia stato così teatrale, così particolare, come altrimenti non avrebbe potuto essere per un uomo così particolare come era lui. Era il 17 Agosto1973.
Un’altra poesia, in vita, mia nonno aveva tanto amato, ed a me più volte recitato: “’LA LIVELLA” di Totò: non potei fare a meno di notare, quando andai al cimitero, che il suo vicino di tomba (lui, povero impiegato con licenza elementare) era un commendatore Grand’Ufficiale, Cavaliere del Lavoro, e chi più ne ha più ne metta… La differenza, fra loro due, ora è nessuna, anzi… su quella tomba nessuno porta mai niente, mentre quella di mio nonno è sempre piena di colori e, quando io vado a trovarlo, non manco mai di appoggiare un fiore su quella del suo “illustre” vicino. Sono sicura che da lassù, in qualche angolino, sorride beffardo per questa situazione, da lui in vita tante volte declamata.
Per lui scrissi qualche poesia, il vuoto che mi ha lasciato è stato incolmabile; ne ho ritrovata solo una, e di un'altra ricordo solo l’inizio:

Allor che Atropo
spezzò quel filo,
che abili mani avean
per lungo tempo tessuto,
tu, povero caro vecchio,
chiudesti gli occhi al mondo
per non aprirli più…

**********

Se c’aripenso
me se strigne er core…
quer vicolo scordato,
quell’arte d’amatore,
quer tocco de pennello
dato co’ la penna,
pe’ dasse l’illusione
che la vita fosse più bella,
pe’ dasse la speranza
che non sarebbe ìta.
Mo’ dimme, se lo pòi,
a che t’è servita
quella penna che giace in un cassetto,
quella speranza che piano piano
la vita t’ha gettato contro er vento
e mo’…non dici niente?
A che t’è servito datte quell’illusione!

(dicembre 1974)

mercoledì 2 settembre 2009

PER RICORDARE...





La regia è di mia figlia Michela, la musica e le parole le ho scelte io, ma quell'emozione che ti prende alla gola...l'hai messa tu, ROSA !